+39 02 89367256 info@coopsole-onlus.it

Linee guida del sistema sanitario nazionale – 2011 http://www.snlg-iss.it/cms/files/LG_autismo_def.pdf

DEFINIZIONE E CARATTERISTICHE DEL DISTURBO

L’autismo è una sindrome comportamentale causata da un disordine dello sviluppo, biologicamente determinato, con esordio nei primi 3 anni di vita. Le aree prevalentemente interessate da uno sviluppo alterato sono quelle relative alla comunicazione sociale, alla interazione sociale reciproca e al gioco funzionale e simbolico.
In termini più semplici e descrittivi, i bambini con autismo:

  • hanno compromissioni qualitative del linguaggio anche molto gravi fino a una totale assenza dello stesso
  • manifestano incapacità o importanti difficoltà a sviluppare una reciprocità emotiva, sia con gli adulti sia con i coetanei, che si evidenzia attraverso comportamenti, atteggiamenti e modalità comunicative anche non verbali non adeguate all’età, al contesto o allo sviluppo mentale raggiunto
  • presentano interessi ristretti e comportamenti stereotipi e ripetitivi.

Tutti questi aspetti possono accompagnarsi anche a ritardo mentale, che si può presentare in forma lieve, moderata o grave. Esistono quadri atipici di autismo con un interessamento più disomogeneo delle aree caratteristicamente coinvolte con sintomi comportamentali meno gravi o variabili, a volte accompagnati da uno sviluppo intellettivo normale. Le caratteristiche di spiccata disomogeneità fenomenica suggeriscono che il quadro clinico osservabile sia riconducibile a una “famiglia” di disturbi con caratteristiche simili, al cui interno si distinguono quadri “tipici” – ossia con tutte le caratteristiche proprie del disturbo a diversa gravità di espressione clinica – e quadri “atipici”, in cui alcune caratteristiche sono più sfumate o addirittura assenti, sempre con una gravità fenomenica variabile: tutte queste tipologie di disturbi sono raggruppabili all’interno della definizione di “disturbi dello spettro autistico”. Questi disturbi, identificati dall’avere in comune le anomalie qualitative nucleari che identificano l’autismo, conferiscono al soggetto caratteristiche di “funzionamento autistico” che lo accompagnano durante tutto il ciclo vitale, anche se le modalità con le quali si manifestano, specie per quanto riguarda il deficit sociale, assumono un’espressività variabile nel tempo. Conseguenza comune è comunque la disabilità che ne deriva e che si manifesta durante tutto l’arco della vita, anche se con gravità variabile da soggetto a soggetto.

EPIDEMIOLOGIA

L’autismo non sembra presentare prevalenze geografiche e/o etniche, in quanto è stato descritto in tutte le popolazioni del mondo, di ogni razza o ambiente sociale; presenta, viceversa, una prevalenza di sesso, in quanto colpisce i maschi in misura da 3 a 4 volte superiore rispetto alle femmine, una differenza che aumenta ancora di più se esaminiamo i quadri di sindrome di Asperger, una delle forme dei disturbi dello spettro autistico.
Una prevalenza di 10-13 casi per 10.000 sembra la stima più attendibile per le forme classiche di autismo, mentre se si considerano tutti i disturbi dello spettro autistico la prevalenza arriva a 40-50 casi per 10.000. Vanno comunque condotti ulteriori studi in relazione agli aumenti di prevalenza delle patologie autistiche che in questi ultimi tempi sono stati segnalati soprattutto dai paesi anglofoni e che porterebbero la prevalenza dei disturbi dello spettro autistico a 90/10.000. Questi dati devono essere confrontati con quelli che si possono ricavare dai sistemi informativi delle regioni Piemonte ed Emilia-Romagna, che indicano una presa in carico ai Servizi di neuropsichiatria infantile di minori con diagnosi di autismo rispettivamente di 25/10.000 e 20/10.000.

EZIOPATOGENESI

Le cause dell’autismo sono a tutt’oggi sconosciute. La natura del disturbo, infatti, coinvolgendo i complessi rapporti mente-cervello, non rende possibile il riferimento al modello sequenziale eziopatogenetico, comunemente adottato nelle discipline mediche:

eziologia ➞ anatomia patologica ➞ patogenesi ➞ sintomatologia.

Va inoltre considerato che l’autismo, quale sindrome definita in termini esclusivamente comportamentali, si configura come la via finale comune di situazioni patologiche di svariata natura e probabilmente con diversa eziologia. In base alle attuali conoscenze, l’autismo è una patologia psichiatrica con un elevato tasso di ereditabilità e con una significativa concordanza nei gemelli monozigoti: il rischio di avere un altro bambino con autismo è 20 volte più elevato rispetto alla popolazione generale se si è già avuto un figlio affetto.
Nonostante queste prove, non si conosce ancora quale sia il percorso eziopatogenetico che conduce allo sviluppo dei quadri di autismo; la ricerca si è orientata maggiormente a indagare il ruolo dei fattori genetici, mentre una relativamente minore attenzione è stata posta sui fattori ambientali o sulla interazione gene-ambiente, e si è focalizzata, specie negli ultimi anni, sullo studio del cervello, soprattutto attraverso le tecniche di neuroimaging, sia strutturale sia funzionale.
I dati finora prodotti dalla ricerca hanno evidenziato una forte eterogeneità e complessità nella eziologia genetica e anche l’identificazione di pathways cellulari o molecolari,possibile grazie alle nuove tecnologie, consente di avanzare solo ipotesi sull’origine del disturbo e nell’insieme non fornisce al momento elementi di certezza sulle cause, che restano sconosciute.

PROGNOSI

II bambino con diagnosi certa di autismo cresce con il suo disturbo, anche se nuove competenze sono acquisite con il tempo. Tali competenze, tuttavia, sono “modellate” da e sul disturbo nucleare e avranno comunque una qualità “autistica”.
Ogni intervento deve avere come obiettivo quello di favorire il massimo sviluppo possibile delle diverse competenze compromesse nel disturbo: analogamente a quanto già dimostrato nella riabilitazione di disabilità acquisite nell’adulto, dove la tempestività e la specificità dell’intervento sono elementi determinanti, e in sintonia con la prassi della riabilitazione di disabilità neuromotorie del bambino, dove la precocità dell’intervento riabilitativo è diventata una buona prassi consolidata, anche gli interventi sugli aspetti funzionali e mentali potrebbero giovarsi di metodologie specifiche, applicate precocemente.
Nel complesso la particolare pervasività della triade sintomatologica e l’andamento cronico del quadro patologico determinano condizioni di disabilità, con gravi limitazioni nelle autonomie e nella vita sociale che persistono anche nell’età adulta.
Queste sono le prove che anche l’osservazione clinica naturalistica rende attualmente manifeste: va peraltro ricordato che l’attenzione per questi disturbi è notevolmente cresciuta a partire dagli anni novanta e che quindi nei prossimi anni sarà possibile capire se la capacità di giungere alla diagnosi più precocemente rispetto al passato e gli interventi abilitativi che si sono conseguentemente sperimentati in varie parti del mondo saranno stati in grado di modificare in maniera significativa e oggettivamente dimostrabile il grave outcome invalidante.

L’Autismo dal DSM IV al DSM-5

Nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders 5 (DSM-5), pubblicato nel maggio 2013, diversi sono i cambiamenti a carico della diagnosi di “Autismo”:

  • E’ presente un’unica categoria diagnostica identificata dai Disturbi dello Spettro Autistico. La definizione “Disturbi Pervasivi dello Sviluppo” viene sostituita con “Disturbi dello Spettro Autistico”. Il motivo del nuovo modo di specificare i criteri diagnostici e l’eliminazione delle sotto categorie è legato all’analisi epidemiologica che non ha giustificato l’esistenza di etichette diagnostiche differenti per un disturbo che si presenta con caratteristiche assai diverse tra persona e persona, ma che sono scarsamente identificabili in sottogruppi distinti.

La Diagnosi dovrà essere accompagnata dall’indicazione specifica della gravità espressa con una scala a tre valori.

  • Le tre aree sintomatologiche (la triade) vengono ridotte a due: il deficit comunicativo e quello di reciprocità sociale vengono uniti nel “deficit della comunicazione sociale”. Viene confermato il gruppo dei “comportamenti ripetitivi”.
  • L’epoca della comparsa dei sintomi: dai 36 mesi diventa «i sintomi devono essere presenti nella prima infanzia ma possono rendersi evidenti successivamente in circostanze in cui sono richieste abilità sociali a cui il soggetto non riesce a far fronte».
  • Introduzione di una nuova diagnosi nei Disturbi del Linguaggio denominata “Disturbo della comunicazione sociale”.
  • La sindrome di Asperger non viene riconosciuta come entità nosologica.
  • La sindrome di Rett non è più inclusa.

Criteri diagnostici secondo DSM-5

DISTURBO AUTISTICO

A.
Deficit persistente nella comunicazione sociale e nell’interazione sociale in diversi contesti, come manifestato dai seguenti criteri, attualmente o nella storia personale (gli esempi sono illustrativi, non esaustivi):

  1. Deficit nella reciprocità socio-emotiva, che vanno, ad esempio, da un approccio sociale abnorme al fallimento di una normale conversazione, per la ridotta condivisione di interessi ed emozioni, o per la difficoltà nel dare inizio o rispondere alle interazioni sociali.
  2. Deficit di comportamenti comunicativi non verbali utilizzati per l’interazione sociale, che vanno dalla comunicazione verbale e non verbale scarsamente integrate, ad anomalie nel contatto oculare e nel linguaggio del corpo, deficit nella comprensione e nell’uso di gesti, a una totale mancanza di espressioni facciali e di comunicazione non verbale.
  3. Deficit nello sviluppo, nel mantenimento e nella comprensione delle relazioni, che vanno, ad esempio, da difficoltà di adattamento del comportamento ai diversi contesti sociali, alla difficoltà di condivisione, alla difficoltà nel gioco e nell’utilizzo della fantasia, alla difficoltà nel fare nuove amicizie dovuta alla mancanza di interesse per i coetanei.).
    La gravità si riferisce alla compromissione della comunicazione sociale ed alla limitazione negli schemi di comportamento.

B.
Schemi ripetitivi di comportamento, ristrettezza negli interessi e nelle attività, come manifestato da almeno due dei seguenti, attualmente o nella storia personale (gli esempi sono illustrativi, non esaustivi):

  1. Movimenti stereotipati o ripetitivi, uso ripetitivo di oggetti o di parti del discorso (ad esempio semplici stereotipie motorie, allineare giocattoli o lanciare oggetti, ecolalia , frasi idiosincratiche).
  2. Insistenza sulla monotonia, l’aderenza inflessibile a routine o a modelli ritualizzati di comportamento non verbale/verbale (ad esempio, l’estrema difficoltà in piccoli cambiamenti, le difficoltà con le transizioni, modelli di pensiero rigidi, rituali d’auguri, bisogno di prendere lo stesso percorso o di mangiare lo stesso cibo ogni giorno).
  3. Interessi ristretti, anormali in intensità o bizzarri (ad esempio forte attaccamento o preoccupazione per oggetti insoliti, eccessivamente circoscritti o interessi perseverativi).
  4. Iper o iporeattività agli input sensoriali o interessi inusuali per caratteristiche sensoriali dell’ambiente (ad esempio l’apparente indifferenza al dolore/temperatura, reazione avversa a suoni o tessuti particolari, interesse olfattivo o tattile eccessivo, interesse abnorme per stimoli visivi luminosi o di movimento).

C.
I sintomi sono presenti nel periodo del primo sviluppo (ma possono non essere pienamente manifesti prima che si realizzino necessità evolutive che superano il livello limitato di capacità possedute, o possono essere mascherati da strategie apprese in età avanzata).

D.
I sintomi causano compromissione clinicamente significativa nel funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti del funzionamento attuale. E. Questi disturbi non sono meglio spiegati dalla sola disabilità intellettiva ( disturbo dello sviluppo intellettuale) o ritardo dello sviluppo globale. Disabilità intellettiva e disturbo dello spettro autistico spesso si verificano contemporaneamente, per fare diagnosi di comorbilità del disturbo dello spettro autistico e disabilità intellettuale , la comunicazione sociale deve essere inferiore a quanto previsto dal livello di sviluppo generale.

DISTURBO PRAGMATICO DELLA COMUNICAZIONE SOCIALE

A.
Persistenti difficoltà nell’uso sociale della comunicazione verbale e non verbale come manifestato da tutti i seguenti: 

  1. Deficit nell’uso della comunicazione a fini sociali, come salutare e condividere informazioni, in un modo che risulti appropriato al contesto sociale .
  2. Compromissione della capacità di regolare la comunicazione in base al contesto o alle necessità di chi ascolta, come il parlare in modo diverso in aula o sul campo da gioco, parlare in modo diverso ad un bambino o ad un adulto, o saper evitare l’uso di un linguaggio troppo formale quando inappropriato.
  3. Difficoltà nel seguenti le regole per la conversazione e la narrazione, come il turno in una conversazione, la riformulazione di quanto non sia stato compreso, o il saper utilizzare i segnali verbali e non verbali per regolare l’interazione .
  4. Difficoltà nella comprensione di ciò che non è esplicitamente indicato (ad esempio fare inferenze) e dei significati non letterali o ambigui del linguaggio (ad esempio, idiomi, umorismo, metafore, significati multipli che dipendono dal contesto per l’interpretazione).

B.
Deficit comportano limitazioni funzionali a una comunicazione efficace, alla partecipazione sociale, alle relazioni sociali, al rendimento scolastico, o nelle prestazioni professionali (uno o più ambiti).

C.
L’esordio dei sintomi è attribuibile al primo precoce (anche se il deficit può non diventare completamente manifesto prima che le esigenze di comunicazione sociale superino abilità elementari).

D.
I sintomi non sono attribuibili ad un’altra condizione medica o neurologica o alle basse abilità nei domini o nella struttura delle parola e della grammatica, e non sono meglio spiegati da un disturbo dello spettro autistico, disabilità intellettiva, ritardo globale dello sviluppo, o di un altro disturbo mentale.